Milano, 4 ottobre 2011 – CIR e i propri legali, Prof. Vincenzo Roppo ed Elisabetta Rubini, ritengono che l’esposto presentato da Fininvest sia un tentativo pretestuoso e infondato di recuperare una situazione processuale fortemente compromessa.
L’esposto, in primo luogo, è infondato nel merito poiché si basa su una lettura fuorviante e lacunosa della sentenza di Cassazione penale n. 35325/2007. Viene infatti nascosto che questa sentenza richiama la precedente Cassazione penale n. 33435/2006, la quale tratta in modo più approfondito la questione chiave sollevata da Fininvest, e cioè se per esercitare l’azione di risarcimento contro Fininvest CIR avrebbe dovuto prima agire per la revocazione della sentenza Metta. Fininvest sostiene che avrebbe dovuto, e non avendolo fatto avrebbe perso la sua azione risarcitoria. Ebbene, Cassazione penale n. 33435/2006 dice esattamente il contrario: “l’accertamento, in sede penale, dell’uso abnorme del processo, inquinato dall’intesa corruttiva… costituisce titolo della domanda risarcitoria”; “La domanda e la conseguente pronuncia risarcitoria… non possono essere condizionate alla eventuale e futura impugnazione straordinaria per revocazione e al suo esito. L’autonomia e l’eterogeneità delle due azioni, la cui operatività e i cui effetti sono relegati su piani e ambiti diversi, escludono ogni loro interferenza e le collocano ciascuna nel proprio settore, con l’unico limite di non consentire la duplicazione di esiti coincidenti sul piano risarcitorio” (pagg. 182-183). Ovvero: la Cassazione (non citata nell’esposto Fininvest) chiaramente contrasta la tesi sostenuta nell’esposto stesso.
L’esposto ha poi un oggetto del tutto inconsistente quando ritiene di segnalare come anomalo e riprovevole (il comunicato stampa dice “gravissimo”) un fatto che invece è assolutamente abituale nella prassi di stesura delle sentenze, e cioè la citazione di precedenti limitata ai passi che il giudice ritiene pertinenti, con stralcio dei passi ritenuti non pertinenti. Salvo si adombri che lo stralcio sia stato fatto dolosamente, da un giudice consapevole che i passi stralciati sono pertinenti, e animato dalla volontà di nasconderli proprio perché li sa contrari alla tesi prescelta: quindi da un giudice che in questo modo, sia pure obliquamente, si sta accusando di un illecito. E siccome i destinatari dell’esposto sono le Autorità competenti per l’esercizio dell’azione disciplinare nei confronti dei magistrati, sorge il sospetto che proprio questo l’esposto voglia adombrare. In questo senso, l’esposto rischia di apparire intimidatorio. Anziché affidare al giudizio della Corte di Cassazione, secondo la normale e corretta fisiologia processuale, quelle che ritiene le proprie buone ragioni contro la sentenza della Corte di Appello di Milano, Fininvest lancia un improprio atto d’accusa contro i giudici che hanno preso la decisione sgradita, e forse un implicito monito ai giudici dai quali teme, in futuro, altra decisione sgradita.
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